martedì 15 marzo 2011

«Ci deve essere qualcosa di speciale nei libri» (Ovvero #perchèleggo)

#perchèleggo è un tag (Per i non Twitteriani leggi "Tema di discussione") lanciato su Twitter dai ragazzi di Finzioni. Siccome è uno spunto di riflessione interessante, siccome ho sempre letto senza mai pensare al perchè leggo e siccome (Soprattutto per questo) la risposta non mi entra negli amati/odiati 140 caratteri di Twitter, vi beccate il post sul blog.
La prima motivazione che mi viene in mente, prima ancora di tutte le motivazioni "romantico/idealistiche" è una motivazione sociale: leggo perchè ho avuto il culo di nascere in una famiglia culturalmente fervida in cui si legge molto e bene: da adolescente ho rubato i primi libri di Tondelli dalla libreria di mia madre, recentemente le ho rubato le Metamorfosi di Kafka e non facciamo che litigare CONTINUAMENTE, come due ragazzine gelose, su chi delle due debba tenere il libro X nella propria libreria. (E sotto questo punto di vista, a parte tutti gli aneddoti personali tra me e mia madre, mi viene da pensare alla "non lettura" come un disagio sociale più che come una "colpa intellettuale").

Quanto alle motivazioni più "romanticoidealistiche", il mio rapporto con la lettura, oltre che con la citazione di Bradbury del titolo (C'è davvero qualcosa di speciale nei libri!), è racchiuso tutto in un libro, nel film omonimo e nel tatuaggio tratto da libro e film in questione che ho sul polso destro: il libro (e il film) è "La storia infinita" di Michael Ende e il tatuaggio è l'Auryn. Quando leggo mi sembra di cadere nel mondo del libro, di diventare un tutt'uno con esso, mi sembra che il libro dipenda da me che lo leggo e io dal suo continuare, dal modo in cui è scritto, dal modo in cui la storia va avanti, dai personaggi, dai luoghi, dalle cose ecc ecc ecc. Esattamente come Bastian.


E soprattutto mi ricordo che l'unica arma contro il nulla è la fantasia umana, di qualunque tipo essa sia e qualunque genere letterario produca. (Che poi, del resto, è lo stesso potere rivoluzionario dei libri di cui parlava anche Bradbury)

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