sabato 30 aprile 2011

«Le fontanelle, o Cronaca di un paese di provincia nel peggior futuro possibile»

(La prima parte è ispirata a roba realmente successa. La seconda parte, potrebbe succedere, se non stiamo attenti)

«Lo sapevate che tutte le grandi civiltà dell'antichità si sono sviluppate vicino all'acqua?»
Gianni il Gufo era l'intellettuale del nostro gruppo, un intellettuale da Bar, sia chiaro, uno di quelli -insomma- che ricordano due o tre cose da qualche documentario incrociato per caso facendo zapping e trovano il modo di infilare quelle due o tre cose in qualunque discussione, comprese quelle calcistiche.
Stavolta, però, la pseudoperla del Gufo, col discorso centrava eccome: era uno di quei frequenti discorsi-amarcord, ci mettevamo a ricordarci a vicenda tutte le mirabolanti avventure di noi cinque – io, Zampa, Pollice, il Gufo e il Corvo – più gli infiniti passeggeri, quelli che stavano con noi per un estate o due e via. Pollice era il più bravo, faceva sembrare fico anche un nascondino idiota, lo trasformava n una storia da film d'azione.
Comunque, in tutti i discorsi di questo tipo, chiunque li raccontasse, c'era un'altra presenza oltre a noi cinque: la fontanella. Probabilmente non si chiamava così, quel posto. Magari aveva un nome altisonante e pomposo, ma per noi era solo la fontanella, con l'acqua da bere e da usare per i gavettoni, le sue due panchine, il muro dietro per giocarci a nascondino e basta. 
Ma questo, era prima che arrivassero i marocchini, quegli zulù di merda: quando hanno iniziato a venire alla fontanella ci siamo limitati a studiarci a vicenda, poi una sera, una battuta di qualcuno di noi, o forse una roba detta in arabozulù da uno di loro e scambiata per provocazione da uno di noi, aveva scatenato il caos di sassi, pugni, e bottiglie spaccate. Ci hanno schiacciato e scacciato solo per superiorità numerica, sono in sette, noi in cinque.
Siamo emigrati, abbiamo trovato un'altra fontana, probabilmente più fica, più storica della nostra, ma dannazione, non era la nostra! Da allora è stata guerriglia aperta: raid e conseguenti risse, occhi lividi, labbra gonfie, nocche spaccate, scritte sui muri (Col Gufo che ci correggeva la grammatica), pisciate nelle fontane nemiche eccetera eccetera eccetera.
Qualche sociologo avrebbe definito la nostra guerriglia scontro culturale, ma in realtà di culturale non c'era proprio niente: l'insulto più colto che c'è stato? «Arabi zulù di merda!» «Non siamo arabi, siamo marocchini. E senza gli arabi avreste ancora contato con le lineette» «Fanculo, nemmeno mi piace la matematica!»
Comunque, non bastavano gli arabozulù a rompere il cazzo, adesso ci si sono messi pure i rais dell'acqua: l'altro giorno il solito gufo, in una delle sue solite sessioni di zapping, ha sentito che questi stronzi hanno deciso di togliere di mezzo tutte le fontane pubbliche perchè costano troppo, e riconvertirle in voliere per la vendita di uccelli esotici. Col risultato che, oltre a non avere più il nostro posto, non avremo praticamente più acqua da bere a meno di pagarla a peso d'oro nei supermercati, sorbirci la roba marrone che esce dai rubinetti o berci il piscio. 
Ricordo che una decina d'anni fa, quei rompicoglioni sinistroidi coi volantini insistevano con la lotta contro la privatizzazione dell'acqua, ma insomma, a chi è mai fregato un cazzo dei blablabla di quei quattro idioti? Se fossimo stati a sentirli, probabilmente sarebbe stato lo stesso, probabilmente no. Insomma, avremmo avuto qualche speranza in più, almeno.
Adesso, invece, ci tocca farci il culo per tenerci questo posto: non che non ci piacciano gli uccelli, ma insomma, li preferiamo liberi, e poi, cazzo, la fontana è la fontana (E poi i soldi per l'acqua da bere non li abbiamo e il piscio ci fa schifo). 
Abbiamo provato a fare qualcosa: scritte sui muri, incatenarci alla fontana, roba così, ma ci siamo presi solo un paio di denunce senza ottenere altro, e adesso ci tocca vedere gli uccelli in gabbia e morire di sete. 
La situazione è così critica che il Corvo non beve da due giorni e quando ci siamo visti era così debole da non reggersi in piedi, pensavo che morisse da un momento all'altro. Poi è arrivata la svolta: gli arabozulù sono passati da quelle parti, non avevamo la forza di insultarli come al solito, e quando si sono avvicinati ci siamo limitati a guardarci in cagnesco. Probabilmente volevano romperci il casso, ma quando hanno visto il Corvo semisvenuto hanno fatto qualcosa che non mi sarei mai aspettato: hanno tirato fuori dalla giacca una bottiglia d'acqua e ce l'hanno data, salvando il Corvo. Praticamente la bottiglia ha fatto da Calumet della pace, dissolvendo i dissapori, lentamente ma efficacemente. E ci siamo resi conto che il nemico, a questo punto della storia, è uno solo: i rais dell'acqua. 
«Bella la scritta. Ne abbiamo fatta anche noi una uguale»
«Ma non ha funzionato, immagino.»
«No. Ce la tolgono. Anche la nostra. Cioè, vostra. Cioè, insomma. Vaffanculo nostra e vostra. »
«Finisce che moriamo di sete.»
«Dobbiamo fare qualcosa. Provarci, almeno» 
«Avrei un'idea»
L'arabozulù (Non ce la faccio a non chiamarlo così, anche se adesso siamo quasi amici), Samir, guarda la voliera e sghignazza, poi guarda tutti noi altri. 
«Aiutatemi»
Ovviamente gli abbiamo sfasciato la gabbia, facendo volare via tutti gli uccelli esotici, e gli abbiamo lasciato una roba, un cartello scritto, una roba tipo, «Se ce li rimettete e non ci ridate le fontane, continuiamo a farlo ad oltranza, stronzi»
Sono liberi, comunque, gli uccelli. E speriamo di diventarlo pure noi, prima o poi. 

(Alè & Roberta, con la partecipazione straordinaria di Camillo sulla fine, per Commons Benevento)

martedì 26 aprile 2011

«La difesa del sapere: un bene comune vitale»

(Articolo scritto per la zine autoprodotta "Diario comune", sulle tematiche dei beni comuni, a cura di Quinto Elemento, Centro Sociale Depistaggio, Codisam, Fiom, singoli cittadini partecipanti alle assemblee collettive ecc ecc ecc. Posto qua solo per avere un link da girare su Twitter. Ogni riferimento a quel cuoppo di Saviano non è affatto casuale)

Parlare di sapere come bene comune nel 2011 sembra un'impresa piuttosto ardua: l'impressione che si ha è che sia stato già detto tutto, che i mezzi mediatici e i vari pseudoguru del momento bombardino l'opinione pubblica, a cadenza quasi giornaliera, con discorsoni esorbitanti sull'importanza della cultura, clichè triti e ritriti sul «Popolo ignorante più facile da controllare» e via discorrendo.
Esiste, tuttavia, uno scarto notevole tra le parole e i fatti, tra i discorsi del gotha intellettuale, delle elite sociali finto-progressiste e non, e la realtà. Vengono sempre più demonizzati ed affamati economicamente, infatti, quelli che dovrebbero essere centri di creazione e diffusione del sapere: le scuole pubbliche, le università -soprattutto- ma anche le biblioteche, i centri di aggregazione culturale, e in senso più lato la produzione cinematografica, teatrale, musicale, letteraria; in Veneto la Lega Nord mette libri all'indice solo perchè gli scrittori sono “rei” di aver firmato l'appello contro l'estradizione di Cesare Battisti, in un clima da Fahrenheit 451; la Gelmini in un noto programma televisivo si arrampica di fatto sugli specchi per nascondere l'evidenza di ben dodici miliardi di tagli a scuola pubblica ed università che andranno ad aggiungersi, ovviamente, ai precedenti; una parlamentare/presentatrice televisiva (Decidete voi in che ordine), si scaglia ancora una volta contro i presunti libri di storia “comunisti” imitando il Presidente del Consiglio che pochi giorni prima aveva attaccato la scuola pubblica e i presunti insegnanti “di sinistra” che indottrinano i ragazzi (Perchè, l'indottrinamento “di destra”, invece, andrebbe bene?), eccetera eccetera eccetera.
Noi viviamo sulla nostra pelle questa situazione paradossale e protodittatoriale, che ricorda situazioni da fantascienza distopica (Fahrenheit 451, appunto), viviamo dall'interno dell'università e della scuola pubblica, come studenti, come professori, o come genitori di studenti, il riflettersi della crisi sociale sulla diffusione di massa del sapere che si concretizza con gli aumenti dei costi di tasse, costi dei libri (E trasporti per raggiungere fisicamente la sede universitaria), con la cancellazione o il rimpasto dei corsi di studio e la conseguente necessità di riadattare i piani di studio, con la quasi totale assenza di borse di studio per il diritto allo studio, con la fatiscenza delle strutture e -soprattutto- con la costante incertezza del futuro, che ci rende, fin dal primo giorno dell'immissione nel sistema-scuola “precari della conoscenza”, “precari del sapere”. 
Mentre dalla sinistra intellettuale e politica “ufficiale” ci si limita ad approfondire lo scarto evidenziato nel sessantotto da Pasolini, tra cultura di elite, e cultura popolare, a difendere l'una demonizzando l'altra, noi siamo sempre stati non sui palchi e sulle televisioni, ma in piazza e in strada, ci siamo stati durante le manifestazioni contro la Riforma Moratti, ci siamo stati durante le manifestazioni contro la Riforma Gelmini, ci siamo stati il 14 dicembre a Roma, ci siamo oggi, qui a Benevento, per ricordare che il sapere è un bene vitale al pari dell'acqua e dell'energia, e soprattutto, ci saremo il 6 maggio a Napoli, precari del sapere accanto ai precari del lavoro, a difendere ancora una volta il nostro (E vostro) diritto alla crescita culturale. 

martedì 19 aprile 2011

Israele e Palestina spiegati con un esempio

(Massima semplificazione. Massima banalità. Riflessioni mie, non faccio la politologa, e non pretendo di avere la verità in tasca)

Berlusconi, domani, decide di sterminare tutti i pugliesi perchè gli stanno sul cazzo per un qualche motivo (Magari perchè c'è Vendola). La comunità internazionale non fa un cazzo per i pugliesi, lascia che Berlusconi li uccida, non interviene e simili.
Poi, Berlusconi, spinto dalle sue manie di conquista, e siccome la Merkel gli sta sul cazzo, decide di attaccare la Germania. Attacca la Germania, la comunità internazionale ovviamente interviene, gli dichiara guerra e lo sconfigge.
I pugliesi rimasti vivi e riusciti a scappare dall'Italia, nel frattempo, si sono andati a piazzare in Grecia, perchè storicamente derivano dai Greci, la Magna Grecia ecc ecc ecc. I pugliesi, sono una popolazione molto ricca, hanno l'olio e il vino buono, e per la comunità internazionale, non è comodo essersi inimicati i pugliesi per non essersi schierati al loro fianco mentre Berlusconi li sterminava. Quindi, dal nulla, la comunità internazionale, decide di dare ai pugliesi, ormai stabilitisi in Grecia, uno stato in Grecia.
Chi ha ragione, i Greci, o i Pugliesi? E soprattutto, se la comunità internazionale si fosse fatta i cazzi suoi, non sarebbe stato meglio?


martedì 5 aprile 2011

News

Post velocissimo per comunicare che oltre a occuparmi di letteratura e cinema (Le due rubriche Books Blog e Cinephilia che ho inaugurato recentemente) e di roba sociale, politica, filosofica, culturale ecc ecc ecc su questo blog, da oggi mi occupo pure di scrivere di musica, una roba che non facevo dai tempi del liceo. Praticamente recensisco dischi (Per adesso, a breve inizio pure con i Reportage dei concerti) su una zine di musica indipendente nata da poco, un progetto carino e interessante.

Questo è il link della zine: http://www.letlovegrow.it . (Lo inserisco anche a lato ndr)
Questa, invece, è la prima recensione che ho fatto: http://www.letlovegrow.it/?p=1803

domenica 3 aprile 2011

Cinephilia # 1 › Nessuno mi può giudicare

(Non mi dilungo con le premesse dal momento che sono le stesse di Book Blog: nuova pseudorubrica a scadenza non fissa anche se stavolta non si parla di letteratura ma di cinema)

Un paio di settimane fa la noia serale m'attanagliava e al "Vado al cinema!" della mia genitrice sono scattata dalla sedia urlando "Okay, vengo anche io", nonostante fossi assolutamente ignara dei film in programmazione. Questo stato di ignoranza è rimasto invariato fino al momento dei biglietti: "Tre per Nessuno mi può giudicare, grazie". Non sapevo se pensare a Caterina Caselli o a Berlusconi. Insomma, un titolo così è così perfetto da essere assolutamente scontato per un biopic sul premier. (E se non ricordo male lo hanno usato pure per una puntata di AnnoZero, in effetti).
Comunque, all'occhiata successiva, la visione di Raoul Bova e della Cortellesi sui manifesti mi fa dimenticare sia la Caselli che Berlusconi. Non sono una di quelli che "Il cinema italiano mi fa schifo a meno che non si tratti di Moretti e Garrone", ma sicuramente non era un film che sarei andata a vedere di mia spontanea volontà e sicuramente non entravo in sala con grosse aspettative a parte l'idea di passare due ore fuori dalla routine casalinga del mercoledì sera.


Ho dovuto ricredermi: il film manda messaggi piuttosto interessanti se ci si fa bene attenzione. Prima di tutto, si parla di escort, argomento quanto mai attuale a pochissimi giorni dal processo Ruby (Visto che c'era il nesso con Berlusconi?!?). Il problema però è COME se ne parla: intendiamoci, il messaggio che fanno passare sulle escort in se per se non è nemmeno sbagliato, non è pura colpevolizzazione moralista ne tantomeno pura indifferenza da abitudine quanto una posizione piuttosto equilibrata, abbastanza condivisibile che non generalizza, non fa ne un'estrema vittimizzazione ne, al contrario, un estrema colpevolizzazione (Non spoilero nel post le scene del film a cui mi riferisco, ma volendo se ne può tranquillamente discutere nei commenti). L'errore, a mio avviso, l'errore TOTALE, sta nel trattare la questione "clienti delle escort": il regista all'inizio li cita solo en passant, li fa apparire esseri quasi leggendari, quasi inesistenti, quasi leggende metropolitane (Quando Eva, la escort "scafata" ne parla alla protagonista, aspirante escort), poi, quando li fa vedere, li fa risultare quasi personaggi simpatici (Quello che si veste da Batman) o "da comprendere" (Ho sentito una signora che -riguardo al cliente masochista- uscendo dal cinema ha commentato: "E ci credo che va a puttane, con quella moglie!". Tra l'altro, maschilismo portami via, ma soprassediamo sulla questione). L'unico che appare stronzo, anche se stereotipato (Quello sullo yacht) viene stemperato e fatto passare in secondo piano dalla scena immediatamente successiva, dall'umorismo che sebbene sia un umorismo da clichè fa effettivamente ridere di: "Tu devi essere orgoglioso di essere africano" "Ma io veramente sono di Catanzaro".


In sostanza, quello che non condivido del messaggio del film (Magari è perchè è una produzione Rai?) è l'eccessiva umanizzazione dei clienti delle escort che ce li fa sentire vicini, quasi simpatici, ci porta quasi all'idea di "Non condannare ma abituarsi" del "Capita" ecc ecc ecc.
E io personalmente i clienti delle escort rifiuto di farmeli stare simpatici, che si chiamino Silvio Berlusconi, Emilio Fede o che siano uno stronzo che scopa vestito da Batman.

Un film da vedere, comunque. Per capire la strategia che vogliono usare per fotterci.